FRAMMENTI ESTRATTI DAI MANOSCRITTI DEL 1936
La migliore cosa proprio per giudicare dell’essenzialità di una certa poesia, delle sue immagini, è di studiarla nelle righe della sua continuità di pensiero. Ciò che non concorre a rendere più chiaro l’unico pensiero del cui suono deve vibrare il suono e la metrica della poesia, deve essere giudicato inessenziale. Così ci sembra che la maggior parte della poesia pura, in cui alcuna continuità non è visibile essendo per lo più una serie ingiustificata di interrompimenti senza una linea ed una direttiva che possa essere giustificata ed appoggiata dalla logica, deve essere giudicata inessenziale e perciò stesso arbitraria e quindi non poesia. Tutto al più per essa si potrebbe dire, che solo le immagini distaccate, di cui si compone ogni singola poesia, prese singolarmente sono poetiche, rappresentanti di uno stato poetico molto indeterminato persino nella coscienza del poeta, il quale non avendo visto bene nella sua stessa coscienza le ha abbandonate così, rappresentanti esclusive di un mondo frammentario.
***
20-Marzo 1936
Bellezza sovrumana alza in te i fianchi
e d’ardere desidera tutto il giorno
Noi nel nostro lavoro di poesia non facciamo altro che cercare di riattivare la scintilla del pensiero che in noi non par spenta perché ci dia riposo nel suo splendore sovrumano
molte parti
di me sono nel dolore infeconde alla poesia
***
Struttura delle mie poesie
Frammenti di vita
buttati così a caso
sulle liquide onde
fra terreni disseminati di pietra
sono le mie poesie,
mentre qualcosa che mi tiene per mano
mi spinge a vedere
montagne gloriose di case e d’uomini,
case e sostanze meravigliose,
terreni scoscesi e ripidi
dove passano a trotto i mulattieri
che scegliendo tra mille
sentieri uno solo
per esso spariscono a volo
prima che sopraggiunga
coi suoi melliflui la notte.
Qualcosa di lucido intanto
scivola sul terreno,
brilla fra sabbia e fango,
fa belle le case dei poveri
e splende lontano
sull’altura invisibile.
I fantasmi poi dileguano
sulle liquide spume.
Di un’oceano maestoso hanno l’aspetto
sempre diverso e sempre presente
la cui vena urge, disseta
i cavi assiepati dell’aria.
L’arte svela il tormento della vita e svelando lo rende sanabile.
L’arte ha il compito di svelare il destino della natura e il significato
recondito delle cose.
Steso sul letto dei monti
sta all’aria libera guarda
le aperte campagne che gli fanno
sconfinato orizzonte da ogni parte
– non ha pace nel suo insonne dolore
sempre ripensa a quella
cui sperava di legare il suo destino
un giorno – felice amante
si prometteva d’essere sulla terra
come non lo era stato mai
alcun nato mortale. Si sentiva
promesso alla felicità d’ogni cosa.
Nella felicità sapeva sognare
il suo destino: ogni cosa credeva
creata per mantener quella sola
immortale. Così gli piaceva
fingere nel suo pensiero.
Forza avversa, contraria
non sapeva immaginare.
Discacciava ogni infelice cura
si parasse nella mente.
Eternamente gli sembra essere
legato a quella
eternamente invocava quella
che sopra tutte il suo cuore
di uomo prediligeva. E quante volte
gli piacque nella notte
chiamarla per nome – applicargli
i più dolci verseggiativi
che al cuore d’amante (…)
come se ignota mano
consentisse di tenerli celati
fino al punto in cui debbono
rimanere celati nella coscienza
per illuminarla di un subito bagliore
quale nessun’uomo sa immaginare
immaginarla in vastissima quiete
sognare i più dolci svenimenti
con lei e rimanendo discosti
in un punto / due punti della notte – Tenendosi per mano (…)
di eventi indistinguibili
piombarsi addosso baciando
dirsi le più tenere parole
che mai amante avesse immaginato.
Quante cose gli piacque favoleggiare (…)
nella sua feconda mente
di vergine adolescente e di fanciullo. Arcano destino!
Era mille miglia distante
dagli eventi che pur oggi si compivano.
Non sapeva ancora di qual sciagura
lo volesse segnare il destino!
E così moriva abbandonato amante
da quella che compagna che lo respinse
con un amaro disegno
che compagna avea prescelto in vita
cui aveva teso
con tutte le forze del suo desio
se la sorte avara non gli fosse stata
di quella che aveva chiesto
con ardente anelante cuore.
E pur (…) lo vedevan morire
compiere l’estremo disfacimento
del suo corpo esangue che non poteva più vivere
consumato dall’ingente sacrificio
che aveva perpetrato su di sé
attanagliato sempre da più e più vivaci
desideri.
Moriva abbandonato amante
lungi dai parenti e dai compagni
solo quanto può esser solo
colui che aspira agli infiniti
firmamenti dell’umano operare
al pensiero sopra tutte le forme.
(…)
Ascendere vuole a Dio
con tutte le sue forze
non deturpare
sulle macerie dei rimpianti
donde sarà difficile sollevarsi.
Tutto vuole lasciare sulla terra.
Selvaggia vendetta
gridano gli istinti repressi.
Egli sta seduto al suolo su una sedia immobile
senza potersi muovere:
al varco oceanico sono protese
tutte le sue forze
tutti i suoi aneliti discordi
vede a tratti passare
le forme i vulcani spenti
del suo desiderio grandioso:
aspettano di passare aldilà
con un’altra stretta
un subito bagliore
della sua coscienza
d’essere relegati nel buio
nel fondo della perpetua notte.
Ferve pugna sanguinosa oscena
Nei suoi istinti discorsi
Il suo sangue ferve rigurgita
Come l’anelito del mare.
***
Bisogna ritornare ai più piccoli valori morali ed edificare su di essi – se si vuole ricostruire secondo un modello di salvezza il mondo e far si che esso adesso sia uno specchio di salvezza.
La filosofia moderna idealistica (…) si dimostra fallace, quando tenta, mediante i valori da lei stabiliti, di ricostruire una visione estetica del mondo – Perciò è ben falsa.
Perché non può esistere una filosofia ed essere veramente vera se si oppone già colla sua semplice esistenza ad una ricostruzione estetica del mondo.
E ciò perché un paradiso immanente non può esistere.
Del pari la poesia se vuole essere veramente poesia, e non fare cioè il suo tempo come tutte le altre cose umane che dopo un periodo più o meno lungo si estingua decadono e muoiono -
Si deve guardare dal fare il benché minimo torto alle cose che la precedono ed in un certo senso la generano, se non vuole esporsi a sicuro rischio di morte. E quali cose precedono il mondo poetico se non gli effettivi valori umani, quelli cioè che hanno una solida ed indissolubile esistenza da per sé stessi cioè autoctonamente, essendo essi niente altro che raggio di Dio?
(…) Perché tutte le nostre cose siano durature ed abbiano un carattere di eternità come noi aspiriamo. (…) Ma in quale coraggio in quale forza noi recideremo e butteremo lontano da noi, quello la cui esistenza dà a noi un miraggio di cosa eternamente e non peritura che noi potremo raggiungere?
Come mai dunque rinneghiamo la nostra fede anche se la nostra debolezza ci consiglia di non metterla in pratica.
frammenti tratti da copie di quaderni manoscritti inediti risalenti al 1936, consegnateci dal fratello del poeta Avv. Francesco Calogero
FRAMMENTI ESTRATTI DAI MONOSCRITTI DEL 1957
6 marzo 1957
III
Era una grande mattina china
e fuori del tuo silenzio la legge.
Poi ponevano giuochi o erano
grandi corolle d’albero,
perché uno si sentiva più povero
Poi fu vero uno sguardo
ed uno meditabondo alla fine in due.
Io non sapevo ciò che si intersecava su questa ringhiera
o era uno ed invisibile che come acqua geme
sempre alla tempia.
Io guardavo sul tuo glabro lato.
Q ‘57 54
VI
Ora è rosso sangue e come vino
acceso si asciuga. Ma non ti adirare!
Così sordo il soffio di un vapore
di un mondo dove una luna
arde o è gemente. Tu dentro un velo
di cristallo o farsi udivo un canto
e sulla limpida riva dello stagno
il tuo passo è breve.
Forse non furono mai vizi
i giorni come oggi avviene
per nozze e un cristallo
violetto ora dorme. Ma era presso un’isola
una fontana e tu stanca
nel tuo cuore distrutta.
Q ‘57 55
VII
Ma da qui a lei sono sospesi
i tempi. Ancora solevi udire
Ti nascondevi a me per gioco
nei modi dell’imitazione dell’amore
solevi dire: questa disperata vicenda
e un’altra fu in un giorno di grano.
Non seguivi il richiamo
non udivi alla gola l’umore odore umile
che resta. E poi senza parere più quella
fu un’enigma di sole.
Il fantastico lume si spegne
ti guarda una luce titubando
in frantumi
Ma bene e perché nell’aria
vaga – non era forse modesta
intirizzita l’aria di legno; ma questo ghirigoro
di seta della vita sulle tue dita
che passa; ma mobile molle di acqua
ti lasciò in frantumi; una giacca di seta
era – un paio di scarpe – guarda –
sopra una vasca gialla
e un foro era intirizzito di seta;
l’amarulenza del fiume -
una fanciulla dalla cintura in rosso -
Ma vedi, non stava bene, non era mobile
sulla via – ; e si seppe; altri ti guardavano
dalle siepi gialle
e silente era il regno della tua pelle
e tu eri acuminata in rosso
come la tua febbre che splendeva
mentre camminavi un pò indietro
ma non più di un rosso era,
un colore di seta doppio e giallo;
forse era la fortuna che si leggeva alle tempie
sui tuoi capelli, sulla città desiderata.
Una regione navigava in basso
(come fetido era l’odore dei piedi sempre)
e un fanciullo si asciugava a mezza strada
i capelli. Tu eri pazzo e nessuno ti bada
sovranamente tra quelli
che una volta ti guardavano, ti mordevi
un dito in mezzo alla tua casa, quando morte era
o era un desiderato nulla;
per cui tu una sera, sulle tue labbra,
a una stella mentisti.
Ma forse ti cerco e il silenzio era sbagliato
da quel profumo che ti veniva a stormo.
Forse fu un’insolita vicenda.
Una ti stava a lato e un tonfo secco
un soffio seguì in gola.
Ma tu dritta e a perdifiato
e poi un turbine si avvicenda
nello spazio.
Q ‘57 55
26 marzo
XI
Bianchi passi e la marina
attigua. Un’insolita quiete di vivere
fra i bianchi sassi. Poteva spegnersi
un ricordo di un’altra vita.
Io sapevo i nastri sognanti
e un silenzio glabro.
Ma un turbine scuote
e tu a ritroso lentamente vedevi
Q ‘57 60
XII
Odi l’acqua gelida
che si avvicina né io potevo sapere
altro di te che questa coltre di cenere
sopra i vulcani spenti. Il corpo
è spettro del nostro pane non più colore o donna
o celeste alito. Questo sapore,
questa scaltrita innocenza s’avvicina
coll’alito del tuo domani. Ma non qui
su questa rude scorza, su la sopita essenza
quando il tuo corpo appare vaporoso
o è di donna.
Io ti avevo tanto attesa a metà dell’aria
come una stella lungo una riva.
Q ‘57 60
frammenti tratti dai quaderni manoscritti inediti risalenti al 1957 trascritti e curati dalla nipote del poeta Lucia Calogero in Lorenzo Calogero, Dai quaderni del ’57, stampati in 500 copie numerate dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Firenze
Sorry, the comment form is closed at this time.