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Nel rigo vuoto di Gaetano Marchese

Prefazione

NEL RIGO VUOTO LUMINOSO IL CANTO
di ENZO FERRARO

Un estratto della prefazione di Enzo Ferraro per il testo “NEL RIGO VUOTO” di Gaetano Marchese, edizioni ilfilorosso di Cosenza. Il testo è una riflessione interiore sulla poetica di Lorenzo Calogero, un viaggio per incontrare il lungo respiro della sua poesia.

“Questa raccolta non avrebbe senso senza la potente poesia di Lorenzo Calogero, amata, analizzata e frequentata da Gaetano Marchese in modo ossessivo e totalizzante. Una presenza viva e allucinante sin dal 1995, quando Marchese si imbattè – tramite segnalazioni di “pazienti di cultura”– nell’opera di Calogero e ne rimase folgorato.

   Dieci anni dopo, Marchese intervenne al Convegno Nazionale della Società Italiana di Psichiatria – Scienze Umane e Creatività (Padova, 14 -15 ottobre 2005) con una relazione assai acuta, dal titolo chiaramente significativo: Parole nel tempo: la poesia orfica di Lorenzo Calogero. Nel 1999, pubblicò L’in-visibile trasparenza delle ceneri dell’anima (Edizioni LibroItaliano, Ragusa), un volumetto di poesie ove si possono intravedere alcuni cartoni preparatori della presente raccolta.   Nella poesia Foglio bianco leggiamo: “D’incanto mi sono svegliato/ e son qui,/ davanti al dramma di un foglio bianco”. Nella composizione Poeta vi sono questi versi significativamente rivolti al futuro: “Dimmi,/poeta solitario di silenzi/ custoditi e mai negati,/[…] /o forse, solamente ti è concesso/ il seminar pensieri/ con il tuo verso ermetico/ per aprire gli argini del sogno?” 

    Il volumetto, nel suo tranquillo decoro, è cosa assai diversa da quello di oggi palpitante, coinvolgente, “ferino” nella sua lunare solarità.  

    Da più di due decenni, quindi, una frequenza continua, un diuturno investigare. Di solito, questo stare a contatto con l’opera amata appaga il lettore, anche il più esigente, ma nel caso di Marchese non è così. Gli restava, come ricordo di ogni lettura, un disturbo “dentro”, un’inquietudine, un profondo malessere che dovevano essere “curati” in altro modo. Il rapporto con quella poesia “irrevocata” esigeva per essere fruttuoso e creativo una diversa strategia, un coraggioso e rischioso nuovo modo di porsi. Bisognava fare i conti con Lorenzo Calogero, lasciandosi coinvolgere dal verso nel suo profondo e misterioso dispiegarsi, condividendone le “oscure” ragioni. Fare i conti significava scrivere, “contrappuntare” una grande poesia, adoperando parole-chiave del maestro per un ardito viaggio alla ricerca (difficilissima) della pienezza. 

   Quella di Calogero è una poesia frantumata dal dolore ma non frammentata, capace di recuperare la ragnatela del ricordo con la fascinazione della parola, a volte nell’illusione allucinata di un sogno. Essa obbedisce alla intermittenze del cuore ferito e umiliato, tutta tesa a tessere in filigrana, una inudibile sventura che chiede il conforto della presenza umana, senza avere mai una geometria compiuta, dove l’io viene vinto dalla nullificazione  del senso e la labilità dell’esistenza è stridente, ma non subisce lo scacco, ma ritorna nel suo essere emozione e dialogo. 

    Un’esistenza vissuta sempre ai margini, quella di Calogero, intrisa di solitudine e sofferenza, ma non priva di affetti, rari e intensi, ma al di sopra di ogni relazione umana c’è la grande passione per la poesia, con cui insegue le ragioni stesse della propria esistenza. Seppur in modo discordante, attraverso la poesia tenta di colmare un vuoto esistenziale, traducibile in un forte bisogno di amore che, schermato invano da una ricerca espressiva puramente informale, esplode in tutta la sua esigenza comunicativa nella visionaria “Città fantastica”, luogo dell’anima dove è possibile saturare il grande vuoto che egli vive.  Nel suo tessuto poetico, misterioso e arcano, rimane stabile un conflitto dolorosissimo – fondamentale per le dinamiche stesse della sua poesia – che genera una variegata gamma di immagini: una poesia verticale, elevatissima, che culmina in un lungo canto d’amore e di morte con versi misteriosi: un incantamento visionario come il suono di Orfeo. Nuclei fondanti di tutta l’opera di Calogero e della sua tipica scrittura poetica ramificante, di natura astratta ed informale, di parole-segno che mostrano come le singole parole, connesse tra di loro da rapporti multipli di tipo fonetico e semantico, non sono descrittive, ma rinviano ad una miriade di sensazioni imprecisate e discontinue, spesso misteriose e visionarie, criptate nel loro porsi, che si rispecchiano e riverberano nella frammentarietà del verso. 

    La rivisitazione della poesia di Lorenzo Calogero, la fascinazione della sua scrittura, ora agonizzante ora orfica e visionaria, tutta  protesa in un dialogante ricerca di senso sulla vita, per Marchese è un vizio che si ripete nel tempo che, adesso, ha rotto gli argini  e improvvisamente si è tramutata in un flusso di coscienza irrefrenabile, ha  scompigliato le cose dormienti  nel suo animo ed è divenuta una esigenza  irrinunciabile per costruire trame nuove con i fili misteriosi del desiderio, recuperando nelle memorie della parola un nuovo senso…”

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